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Gloria Allegrucci: non sono molto brava a darmi delle regole

Sul nostro sito abbiamo il piacere di ospitare Gloria Allegrucci che ci parla del suo rapporto con la scrittura

Qual è il suo rapporto con la scrittura? Mi piacerebbe che fosse un rapporto più sereno. Purtroppo non sono molto brava a darmi delle regole. Quando riesco ad impormi di scrivere un po’ tutti i giorni noto progressi e miglioramenti ma sono poco incline alle abitudini. Sono più il tipo di persona che aspetta l’ispirazione e quando c’è è capace di scrivere per dieci ore di seguito.

Spesso però bisogna fare i conti con gli impegni quotidiani e con il fatto che a volte l’ispirazione arriva in momenti dove non si ha la possibilità di rinchiudersi in un angolino a scrivere.

Ha delle abitudini particolari durante la scrittura? Per scrivere ho bisogno di individuare la giusta playlist da tenere in sottofondo. Il più delle volte deve essere musica senza parole. Ho bisogno di estraniarmi e non sentire altri rumori. Il più delle volte scrivo seduta al tavolo della sala o a letto o sul divano. Scrivo sul mio portatile e ho bisogno di rileggere spesso e correggere. I momenti migliori per me sono da dopo le sei di sera in poi. La mattina ho scritto di rado cose memorabili.

Ricorda il primo libro che ha letto? Ricordo che da bambina frequentavo la biblioteca dei ragazzi insieme a mia sorella. Potevamo prendere cinque libri a testa al mese e quindi ne divoravamo dieci. Ci piacevano molto i libri di Bianca Pitzorno ma anche i classici. Ricordo che a un certo punto avevamo letto tutti i libri della biblioteca e siamo dovute passare ai libri per adulti.

Non ricordo il primo libro che ho letto ma ricordo benissimo il primo libro che ho desiderato con tutto il cuore. Ce lo aveva letto in classe la maestra in terza o quarta elementare ed era Matilde di Roald Dahl. Ho amato quel libro da impazzire. È stato il primo libro a trasportarmi definitivamente dentro la storia. Se ci penso, so ancora alcune frasi a memoria e ricordo alla perfezione i disegni di Quentin Blake. Se chiudo gli occhi sento ancora la voce della maestra che imita le voci di Matilde e della Signorina Spezzindue.

Per lei scrivere è un’arte che va coltivata? Sono consapevole che la scrittura vada coltivata come una pianta e non annaffiata una volta ogni tanto con una brocca colma d’acqua per sopperire a mesi di siccità. Spero prima o poi di riuscire a trovare la formula migliore che concili ispirazione, quotidianità e tempo.

Quando mi capita di seguire per alcuni periodi seminari o lezioni di scrittura creativa o di analisi della storia e del personaggio, quando mi metto in gioco e mi esercito anche al di là di storie scritte per essere pubblicate, noto che la mia scrittura fa passi da gigante, cresce, si rafforza, diventa matura.

Per scrivere bene bisogna scrivere, sempre, tutti i giorni. Il problema è solo convincersi a farlo e non auto sabotarsi.

La sua scrittura inizia da esperienze reali, autobiografiche o dalla sua immaginazione?Quasi sempre la mia scrittura inizia da esperienze reali. A volte non ci rendiamo conto delle assurdità che popolano il mondo. L’immaginazione spesso è meno sensazionalistica della realtà. Parto da esperienze vere e le adatto alle storie che ne nascono. A volte sono storie totalmente reali e solo i personaggi sono inventati. Altre volte è il contrario. Per scrivere ho bisogno di aver fatto un’esperienza concreta con quello di cui scrivo, se non direttamente di aver almeno parlato con qualcuno che l’ha vissuta. Solo così ho l’impressione di riuscire a trasmettere la mia verità.

Quali sono i suoi generi preferiti? In termini di lettura spazio dai romanzi di narrativa generale a libri gialli e thriller. A volte, non molto spesso, leggo anche qualche fantasy. Ammetto però di aver letto storie straordinarie di generi che normalmente non trovo interessanti o vicini ai miei gusti. Sono quindi consapevole che, al di là del genere, è la storia il motore trascinante. Se funziona, se ci cattura, può essere ambientata in una città del ‘600, su una barca pirata o in una contea inventata che mi piacerà comunque.

Ora una domanda insolita: si faccia lei una domanda e si risponda Forse mi chiederei: che futuro immagini per L’ombra di Erica? L’ombra di Erica è un modo per viaggiare per Rimini e conoscere da vicino cinque persone che potrebbero essere quelle che ci passano accanto alla fermata del bus, tra le bancarelle del mercato o in fila alle poste. È un modo per dire, smetto di essere chi sono per un istante e divento quell’altra persona. È un modo per aprirsi al mondo e agli altri. Per distogliere l’attenzione da noi stessi per un istante. Mi piacerebbe che riuscisse a fare tutto questo sui suoi lettori e lettrici.

Da una delle cinque storie connesse a quella di Erica è nata l’idea di una serie tv crime che ho scritto in collaborazione con un regista. Vederla realizzata sarebbe come dare un seguito concreto a una storia nata per caso in un bar una mattina.

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