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Intervista al cantautore GILBERTO

Gilberto Ongaro, musicologo, cantautore e tastierista aponense classe ’87, scrive canzoni dal 2001, e fa concerti dal 2007. Dopo aver militato nel gruppo alt rock The Applesss (2007-2009) e nel trio demenziale Liberascelta (2009-2011), nel 2012 inventa l’idea di Saffir Garland, partito come progetto ambient elettronico strumentale. Ben presto, per urgenza comunicativa, Gilberto torna a cantare, sviluppando un’identità multiforme nel genere musicale, ma gradualmente sempre più definita nel concetto d’essere un satiro tagliente, rivolto ai paradossi della società, fino ad arrivare a brani dal taglio drammatico, ma sempre polemico. Gli argomenti, affrontati con spirito beffardo e umorismo caustico, sono molteplici e a volte tabù. La musica volutamente cerca il contrasto fra generi opposti, passando dall’elettronica al pop, al punk, al funky, al folk e alla salsa; il tutto sempre con l’approccio progressive. Gilberto non si fa problemi a creare strutture complicate e divertirsi a creare melodie e armonie impreviste. Finché nel 2018 non si stanca di sé, e decide di rivoluzionare il proprio stile. Cestinando mentalmente quasi tutto il materiale precedente (a parte le canzoni apprezzate dal pubblico), Gilberto abbandona l’eccessivo citazionismo colto, e sceglie di coniare un termine che va in direzione opposta a quanto fatto finora. Così, da Saffir Garland cantautore satirico, dal 2019 Gilberto si propone col proprio nome, dichiarando di fare “pop innocuo”. Si cambia vestito, uno più musicalmente leggero, per far emergere al meglio lo spirito, senza filtri.

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Quando ti sei avvicinato alla musica?

Giocavo già con una pianola a 4 anni, ma è stato ai 13, che amici e parenti mi hanno fatto notare che avevo orecchio, e ho iniziato a prendere lezioni di pianoforte nel 2001. Io sognavo di fare lo scrittore in realtà, poi ho scoperto quanto comunica il linguaggio astratto della musica. Ho iniziato a scrivere le prime canzoncine in cameretta, fino al primo vero e proprio concerto nel 2007.

Come consideri la tua esperienza nel gruppo alt rock The Applesss e in seguito nel trio demenziale Liberascelta?

Formativa. Gli Applesss erano in sei e tutti con una loro testa, e ho faticosamente imparato come gestire la tensione tra volontà opposte. I Liberascelta poi sono la prima vera prova di band che cerca una propria precisa identità. E ho imparato ad osservare le reazioni del pubblico, capire cosa fa ridere e piangere, e cosa annoia. E cosa interessa e non interessa esprimere a me, le mie prerogative insomma.

Quali sono le tematiche ricorrenti all’interno dei tuoi brani?

Questa domanda è difficilissima. Ho affrontato sia situazioni intime (non autobiografiche), che denunce sociali e ambientali, come certe contraddizioni paradossali del pensiero. Quello che è ricorrente, più che nei contenuti, sta nella forma espressiva, una sorta di ironia, a volte leggera e “bighellona”, a volte tagliente e acida. Faccio in modo che la musica rappresenti in suoni l’ironia del caso, anche per questo vario spesso stile: dipende da ciò che dico.

Come sei arrivato all’idea di fondere un folk melodico a un synth in stile techno nel tuo ultimo brano “NON E’ UN PAESE PER JOVANOTTI” ?

Nella mia mente era nata come una schitarrata stile Green Day. Per quello la melodia suona così folk: se ci pensi, i Green Day sotto sotto sono folk elettrico, più che punk rock. Le loro canzoni col banjo suonano bene! Poi, essendo io tastierista, e da quattro anni senza band, l’ho progettata da solo con l’elettronica al pc. Suonava come una roba del 2004 di Gabry Ponte, e mi garbava. In fase di mix poi, con Riccardo Sadè, il magico fonico (e chitarrista) siamo riusciti a unire i due aspetti dell’arrangiamento.

Con quale artista italiano ti piacerebbe collaborare un giorno?

Riccardo Zanotti dei Pinguini Tattici Nucleari. Ma una volta ha rifiutato di presenziare in una mia canzone nel 2017, quand’era ancora semisconosciuto, quindi figuriamoci adesso eheh!

Attraverso quali mezzi si può arrivare ad analizzare la società nelle sue varie sfaccettature?

Vuoi fare il sociologo? Abbiamo tantissimi mezzi per analizzare la società oggi, non solo cinema critico, musica alternativa e libri antipatici. Basta osservare anche le dinamiche dei social, al netto di profili finti, bot e quant’altro falsifica l’opinione pubblica. Quel che mi preoccupa oggi, non sono le possibilità, quanto la volontà di chi analizza. Non vedo nessuno, o non l’ho ancora conosciuto tra i più giovani, che voglia studiare la società con lo scopo di capirla e magari proporre metodi per indirizzarla. A me sembra che siamo tutti a pesca, l’uno contro l’altro, piegando tutte le conoscenze al solo fine di convincere più persone ad acquistare i propri prodotti. E poi ciao amore ciao. Ognuno vede gli altri come pesci, e bada solo a come affinare le proprie esche. Ecco perché hanno coniato una bestemmia disumana come “neuromarketing”. E credo che se a quasi 33 anni, ancora non riesca a farmi conoscere come un qualsiasi artista, è perché mi son sempre rifiutato di prendere in giro così chi mi ascolta.

Gilberto in una parola, come ti autodefinisci?

Musicologista. Perché sono sia musicologo che musicista. E anche masochista, visto che insisto a mettere l’autenticità davanti alla furbizia. Masomusicologista.

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