– BABELFISH –
di Gino Pitaro

recensione a cura di Mauro Travasso

Sono sei i racconti presenti in Babelfish che si sviluppano su diversi angoli della terra. I protagonisti sono nomadi, di origine italiana; chi si trova in Italia o chi all’estero per lavori temporanei, una vacanza oppure in pianta stabile per costruire un futuro migliore. Pitaro propone una scrittura forbita, mirata, che rende chiara la lettura, nonostante la complessità e la varietà delle tematiche toccate. La descrizione particolareggiata del carattere dei personaggi crea immediatamente una sintonia emotiva con le vicissitudini che si trovano a vivere. La curiosità del lettore viene stimolata quanto basta per indurlo ad arrivare subito alla fine di ogni storia e far attivare la riflessione. Ho trovato necessario fermarmi, infatti, prima di passare al racconto successivo, per avere il tempo di metabolizzare e capire a fondo il significato degli spunti che emergono. 

I temi trattati – intorno a quello cardine del libro rappresentato dal “nomadismo esistenziale” – sono l’amore, la vita e la morte che vi si alternano. I personaggi sono alla continua ricerca dell’anima gemella o vivono grazie al suo ricordo nel momento in cui l’hanno persa definitivamente. Si intersecano storie d’amore, un amore che a volte assume la forma di un’amicizia forte e intensa, di un legame carnale che è tipicamente fraterno. Oppure un amore sfociato all’improvviso, di cui non si era mai conosciuta o immaginata l’intensità che da lì a poco avrebbe generato. E ancora, chi prova interessamento e la paura di perdere una persona di cui non si conosce quasi niente, ma che rappresenta un elemento di equilibrio importante per la propria esistenza quotidiana. C’è chi rischia la vita quasi per gioco in uno dei propri viaggi, chi per amore e chi si trova a fare i conti con l’aspetto della morte che si intreccia alla routine dei vivi. Alcuni personaggi appaiono bizzarri, eccentrici, ma è grazie a questi aspetti che riescono a sentirsi appagati e a non dover rinunciare all’armonia delle proprie storie.

La sensazione di un filo conduttore che attraversa ogni nomadismo è quella dell’importanza di far comunque riferimento alle proprie radici, a una italianità e soprattutto a una territorialità regionale che caratterizza i protagonisti, come a voler conservare il proprio retaggio per la paura di perdere sé stessi. Andando più a fondo nell’analisi dei singoli racconti, che come anticipa il retro della copertina possono essere letti a sequenza alterna, si comincia con una assolata Pamplona, l’adrenalina che tiene sospeso il filo sottile tra il farcela e il non farcela, tra la vita e la morte, difronte a una forza della natura con possibili effetti devastanti per chi la sfida. Poi si viaggia a Ginevra, tra i ricordi di gioventù, di un rapporto di amicizia che perde di frequentazione a causa della distanza, del prendere strade diverse lungo il cammino, ma mai muta nell’intensità del volersi bene. È la scomparsa di un amico, diventato ormai come un fratello. Si ritorna a Roma, nella cornice del Verano, un luogo per fuggire dalla realtà così frenetica e inglobante per trovare la propria pace. Un’ambientazione inusuale, come può essere un cimitero, vista in modo naturale dal suo protagonista; non c’è nulla di strano, egli non si preoccupa della sua bizzarria, va avanti per la sua strada, perché il rifugiarsi al Verano lo fa stare bene, in pace con sé stesso e il mondo. Senza troppi misticismi o fatalità narrativi che potrebbero apparire scontati in un contesto simile. In questi tre primi racconti si nota una morte sfiorata, una sopraggiunta e infine una che va oltre la morte stessa.

La quarta storia, la cosiddetta Miss France, una vecchia signora italiana che si è trasferita in Inghilterra e che senza volerlo e saperlo è una persona cara per chi appena conosce, con l’inquietudine della morte sempre dietro l’angolo. Poi ci si sposta in Estremo Oriente, dove troviamo Sakura in una Singapore che ha nel proprio Dna un nomadismo esistenziale esteso a tutti i suoi abitanti, una città di passaggio anche solo per chi ci vive da tempo, con il tema di un amore clandestino, in un ambiente costante di rinascita, sottolineato dal sole che sorge ogni giorno. Come nelle tradizioni orientali che si rispettano un passato tragico fatto di intrecci e relazioni familiari apparentemente ambigue, di un senso d’onore sconosciuto al resto del mondo. Una netta separazione tra il concetto dell’amore occidentale e orientale, senza pregiudizi o paragoni tra quale sia migliore o più giusto. E infine l’ultimo racconto ambientato in Francia, quello di uno scrittore occupato a promuovere in giro per il mondo i propri romanzi, la sua casa sono le stanze d’albergo. Alla ricerca costante dell’amore eterno di una vita, un’aspettativa delusa troppe volte in passato che lo tiene ancora solo e che lo tormenta.

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